Quando moriremo, nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma credibili.

Rosario Livatino


Il giudice Rosario Livatino era nato a Canicattì il 3 ottobre 1952. Era stato uno studente brillante, aveva seguito le orme del padre Vincenzo Livatino. Si era laureato con lode all'età di 22 anni presso la facoltà di Giurisprudenza a Palermo. Poi vinse il concorso. Da qui divenne giudice a latere presso il tribunale di Agrigento.

Otto mesi dopo la morte del giovane giudice, con senso critico, l'allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga definì «giudici ragazzini» una serie di magistrati neofiti impegnati nella lotta alla mafia. Dodici anni dopo l'assassinio mafioso, Cossiga smentì che quelle affermazioni fossero da riferirsi a Livatino, che invece definì "eroe" e "santo". Papa Giovanni Paolo II lo definì invece «martire della giustizia e indirettamente della fede».

La testimonianza del supertestimone Pietro Ivana Nava e la sentenza

Sulla tragica morte del giudice, successivamente grazie al supertestimone Pietro Ivana Nava, sono stati individuati gli esecutori e i mandanti dell'omicidio e condannati all'ergastolo, mentre i collaboratori di giustizia a pene ridotte.

Un commando formato da quattro ventenni della cosiddetta "stidda", cioè l'associazione mafiosa che, secondo i magistrati, si contrapponeva a Cosa Nostra. Il giudice è stato ucciso perché

 

"perseguiva le cosche mafiose impedendone l'attività criminale, laddove si sarebbe preteso un trattamento lassista, cioè una gestione giudiziaria se non compiacente, almeno, pur inconsapevolmente, debole, che è poi quella non rara che ha consentito la proliferazione, il rafforzamento e l'espansione della mafia".

 

Così è scritto nella sentenza che ha condannato i suoi assassini.

Le parole del giudice

Il giudice diceva a proposito della figura del magistrato:

«L'indipendenza del giudice, infatti, non è solo nella propria coscienza, nella incessante libertà morale, nella fedeltà ai principi, nella sua capacità di sacrificio, nella sua conoscenza tecnica, nella sua esperienza, nella chiarezza e linearità delle sue decisioni, ma anche nella sua moralità, nella trasparenza della sua condotta anche fuori delle mura del suo ufficio, nella normalità delle sue relazioni e delle sue manifestazioni nella vita sociale, nella scelta delle sue amicizie, nella sua indisponibilità ad iniziative e ad affari, tuttoché consentiti ma rischiosi, nella rinunzia ad ogni desiderio di incarichi e prebende, specie in settori che, per loro natura o per le implicazioni che comportano, possono produrre il germe della contaminazione ed il pericolo della interferenza; l'indipendenza del giudice è infine nella sua credibilità, che riesce a conquistare nel travaglio delle sue decisioni ed in ogni momento della sua attività».